Chi ricorda ormai John Birch? Il missionario protestante americano che decide di convertire i cinesi, e va da solo a Hangzhou nel 1940, e quando i giapponesi la occupano, a ridosso della Seconda Guerra Mondiale, si trasferisce a Shangrao, città della prefettura di Jiangxi, occupata dalle truppe nazionaliste del generale Chiang Kai-shek. Nel dicembre del 1941, i giapponesi bombardano la base Usa di Pearl Harbor, nelle Hawaii, e scoppia il conflitto tra Tokyo e Washington. Padre Birch, patriota, si arruola nell’esercito, collaborando con i cinesi. Ma nell’aprile del 1942, quattro mesi dopo l’umiliazione di Pearl Harbor, i militari propongono al presidente Roosevelt un’azione che avrà scarsi effetti bellici, ma altissimo valore di propaganda. Uno squadrone di piloti, al comando del leggendario asso tenente colonnello Jimmy Doolittle, si leverà in volo dalla portaerei Hornet, bombardando la capitale imperiale nemica: è una missione suicida, il carburante dei serbatoi non basta a tornare indietro, si deve provare a volare sino alla Cina amica e lanciarsi col paracadute o atterrare di fortuna. Tutti i 16 bombardieri B 25 furono perduti, 15 distrutti, uno requisito in Unione Sovietica, non in guerra col Giappone, tre avieri morirono, otto furono catturati, tre fucilati, uno morì di malattia. Padre Birch si imbatte, grazie alla rete di informatori cinesi, in Doolittle e lo aiuta a rientrare tra gli Alleati. Il comandante informa i servizi segreti che il giovane pastore, Birch aveva allora 24 anni, può tessere un network di spie e l’OSS, agenzia antenata della Cia, recluta il missionario. Tutti i rapporti confermano che Birch è di grande aiuto con i dispacci al di là del fronte giapponese, finché il 25 agosto 1945, a guerra ormai finita, Birch non si trova, in circostanze mai chiarite, ad affrontare non i cinesi nazionalisti, con cui era familiare, ma soldati fedeli a Mao Zedong e al partito comunista. Nella sparatoria che ne segue padre Birch cade, a 27 anni, per molti la prima vittima della Guerra Fredda alle porte. Il pastore riceve medaglie al valore e ormai nessuno forse lo ricorderebbe più se Robert Welch, businessman americano dei dolciumi, anticomunista e complottista, non avesse dedicato al suo nome la John Birch Society, organizzazione misteriosa, fondata il 9 dicembre del 1958, per difendere il capitalismo Usa e sconfiggere il comunismo russo e cinese.

In Italia solo la critica e traduttrice Fernanda Pivano, scomparsa nel 2009, provò a raccontare la John Birch Society, nucleo certo che il presidente repubblicano Eisenhower, stratega dello sbarco in Normandia, fosse un pupazzo del Cremlino, che i democratici di Stevenson, Kennedy e Johnson nascondessero i comunisti in segreto e che il premio Nobel per la Pace Martin Luther King lavorasse per l’Urss. Il “Blue Book of the John Birch Society” assicurava che Washington e Mosca, con le Nazioni Unite e le altre organizzazioni internazionali nate dopo la guerra grazie al presidente Truman, vedi il Piano Marshall di aiuti all’Europa, ordissero un “New World Order”, nuovo ordine mondiale. A tirarne le fila “banchieri avidi, politici corrotti, traditori” che usavano i sussidi ai poveri per reclutare adepti. Il welfare altro non era se non il primo passo verso lo stalinismo: vale la pena di ricordare, che, caduto il Muro di Berlino, il presidente Bush padre adottò la sigla “Nuovo Ordine Mondiale” per la sua politica di collaborazione multilaterale e che nel 1995, a Oklahoma City, il terrorista di destra ed ex militare Tim McVeigh distrusse il Federal Building, 168 morti e 680 feriti, il maggior attentato prima dell’11 settembre 2001 e al Qaeda, giusto in odio al New World Order, ereditato da Bill Clinton.

La Birch Society esiste ancora, con sede a Grand Chute, in Wisconsin, e prosegue con le sue attempate campagne ossessive, senza l’efficacia di quando distribuiva volantini spiegando che il fluoro nell’acqua potabile non combatteva le carie, ma controllava il cervello dei cittadini via Mosca. Perfino la guerra del presidente Johnson in Vietnam era considerata, con folle logica, “un complotto comunista per dominarci” e i “Birchers” si trovarono bizzarri compagni di strada dei pacifisti hippies, così come ora, paradossalmente, trumpisti e socialisti sanderisti deprecano le missioni militari Usa nel mondo.

Oggi le milizie paramilitari sono altre, i complotti li distilla QAnon, setta online che considera i democratici pedofili satanisti, il Deep State, lo stato profondo, è temuto da Steve Bannon, ex consigliere di Donald Trump arrestato per frode, e da Stephen Miller, che ha redatto il discorso del presidente alla Convenzione repubblicana d’agosto. I Patriot Prayer a Portland osteggiano i dimostranti di Black Lives Matter su una linea politica, trasformata in milizia armata, che ricalca pedissequa il pensiero di Welch: il gruppo ha subito un morto, e il presunto assassino, considerato dalla polizia vicino alla rete militante detta Antifa, è poi stato ucciso durante l’arresto, aprendo a lungo misteri avversi.

La John Birch Society raggiunge il maggior splendore negli anni Sessanta, i genitori del povero Birch ne diventano membri onorari e il comandante Doolittle, uno dei pochi che davvero aveva conosciuto il pastore sul campo, scrive nelle sue memorie “Non credo che John sarebbe lieto di essere coinvolto in questo movimento”. Poco importa: Robert Welch, prima delle fake news, del web che troppi ingenui insistono a ritenere colpevole della cattiva politica corrente, del populismo XXI secolo, aveva compreso il valore del vecchio Vangelo di San Giovanni, “gli uomini credettero alle tenebre e non alla luce” e lavorò con successo sulle tenebre.

Se vale la pena ricordare John Birch e la Società che ne usurpa il nome, la paura del fluoro nell’acqua americana di mano sovietica, il presidente Eisenhower apparatcik di Nikita Kruscev, democratici e repubblicani pretoriani dell’Internazionale comunista, è perché il lettore, intento a analizzare la storica campagna elettorale Usa 2020 tra Trump e l’ex vicepresidente democratico Joe Biden, consideri come tanti temi che i media spacciano per “inediti”, affondino invece le radici nella storia e cultura lontane degli Stati Uniti. I metodi di Bannon e Miller sono i metodi di Welch, il loro disprezzo per l’apparato istituzionale Usa è erede della John Birch Society e parecchi osservatori Usa, con qualche ritardo magari, ne prendono infine atto. Allora i repubblicani compresero al volo come la paura, il livore, il rancore dei “Birchers” non minasse solo i rivali democratici, ma anche, e soprattutto, la democrazia del paese e i suoi valori condivisi, oltre ad inquinare, alla lunga, il glorioso Grand Old Party.

Fu un giovane e brillante intellettuale conservatore, William Buckley , della rivista National Review, a denunciare la Society, pur essendo stato amico di Welch e pur convivendone tante posizioni. Buckley capì che, in quella che il filosofo Popper definì nel 1945 “la società aperta”, barattare la dialettica delle idee con i complotti segreti uccide la vita politica e predicò, con successo, ai repubblicani di tagliare ogni ponte con i “Birchers”. Il giornalista di sinistra John Judis, biografo di Buckley, conclude che a persuadere lo scrittore conservatore fu il timore che, incontrastati, Welch e la John Birch Society seminassero un “fascismo americano”.

La studiosa Ayn Rand, considerata la patrona della destra intellettuale Usa, in un’intervista a Playboy, la rivista di Hugh Hefner che allora, accanto alla foto centrale di pin up seminude ospitava le migliori firme, conclude perentoria: “Un paese non è mai distrutto dai complotti, ma solo dalle idee”. Era il 1964, anno in cui il democratico Johnson demolì alle elezioni il candidato della destra repubblicana Barry Goldwater, che pure lanciò temi raccolti con successo da Nixon 1968 e Reagan 1980: ma Rand aveva ragione e la sua lezione magnetica risuona nel 2020. Le elezioni per la Casa Bianca del 3 novembre non saranno appannaggio di chi conduce il complotto più raffinato, di chi, come insistono a credere troppi analisti, meglio tira il vantaggio dai disordini in corso intorno al movimento antirazzista o di chi, online, mobilita i meme più efficaci e gli algoritmi di disinformazione meglio affilati da Intelligenza Artificiale e machine learning.

Fra Trump e Biden prevarrà chi, mentre scriviamo il democratico ha un vantaggio di 7 punti, doppio della Clinton quattro anni or sono, saprà meglio proporre idee capaci di coinvolgere, emozionare, scaldare la maggioranza dei cittadini, in un’epidemia che ha lasciato 180.000 vittime e milioni di senza lavoro. Non comprendere quello che il critico Buckley, la scrittrice Rand e perfino il coraggioso comandante Doolittle colsero oltre mezzo secolo fa, non ci permette di cogliere il 2020. L’incertezza dei sondaggi, la violenza dello scontro, la differenza tra le due Americhe che usciranno il 3 novembre, non dipende da qualche canuto complottista o da qualche energumeno con al petto cartucciera e fucile automatico, come il diciassettenne Kyle Rittenhouse, accusato di duplice omicidio durante una manifestazione a Kenosha, difeso da Trump e da un milione di dollari raccolti in un fondo per le spese legali.

Dipende dalla radicalità delle due Americhe, dai diversi futuri che esse prospettano alla nazione. Tranne i senatori McCain, Flake e Romney, poche voci repubblicane hanno imitato il focoso Buckley, denunciando i complottisti di casa. Lo staff del presidente li ha incoraggiati, salvo poi, una volta fuori dalla Casa Bianca, andare all’incasso con libri di cassetta, dall’ex consigliere per la sicurezza nazionale, il baffuto ambasciatore Bolton, all’ambiguo avvocato Cohen, condannato a tre anni di carcere per spergiuro. Un danno per Trump e per il futuro del partito e vedremo come, in futuro, questo ritardo colpevole sarà pagato.

Decidono le idee ammoniva presaga la conservatrice Ayn Rand. Tra i libri contro Trump, fresco di stampa è quello dell’ex agente Fbi Peter Strozk che rivela, tra le smentite della Casa Bianca, come il Federal Bureau of Investigation abbia cercato di stabilire se Donald Trump sia, o no, un Candidato Manciuriano. Non so quanti americani possano ricordare la straordinaria pellicola “The Manchurian Candidate” del 1962 (il ridicolo titolo italiano è “Va’ e uccidi”), giusto la stagione d’oro della John Birch Society. La girò il regista John Frankenheimer, con Frank Sinatra e Angela Lansbury, futura garrula detective tv: un complotto Cina-Urss fa il lavaggio del cervello a militari Usa prigionieri della guerra di Corea, per usarli poi nell’elezione alla Casa Bianca del demagogo senatore Iselin, prototipo dei Bircher e dei complottisti odierni. Secondo l’agente Strozk l’Fbi si è preoccupato che Trump sia “candidato manciuriano” del presidente russo Vladimir Vladimirovic Putin, e la sua tesi aggiunge stress nei giorni difficili americani.

Trump non è “candidato manciuriano”, ha vinto nel 2016 non grazie all’aiuto, pur provato dal Rapporto Mueller di spie del Cremlino e leaks, ma interpretando il formidabile disagio del paese. Per batterlo Biden dovrà, a sua volta, interpretarlo con maggiore realismo e persuasione, altrimenti verrà sconfitto, come la Clinton.

Servirà dunque studiare, esporre, vagliare l’America, senza perdere tempo con trame da thriller fantapolitico: lo faremo nei prossimi articoli, cercando, come suggeriva la Rand, le idee in competizione, oltre e più a fondo dei pur corrosivi, seducenti, complotti.